Hate speech: no ai discorsi di odio

“Ogni dire è anche un fare”, Claudia Bianchi

Il termine hate speech, linguaggio di odio o discorso d’odio, identifica varie forme espressive – non solo parole e frasi, ma anche immagini, gesti, caricature, condotte – ostili e offensive, volte a causare danno a individui e gruppi storicamente oppressi e marginalizzati, identificati da caratteristiche tutelate dalla legge (razza, etnia, nazionalità, religione, genere, orientamento sessuale, abilità e disabilità).

Su 200 mila tweet analizzati in 4 mesi da vox diritti, 50 mila contro i migranti, 39 mila contro le donne, 22 mila contro mussulmani, 17 mila contro le persone con disabilità, 15 mila ebrei, 8 mila contro le persone LGBDQ+.

Nel mondo dello sport e in particolare del calcio, sono particolarmente diffusi i messaggi d’odio. Dalle tribune degli stadi si è passati al web, in particolare con l’avvento e la diffusione dei social network, da Facebook alle chat di gruppo di messaggistica istantanea di WhatsApp. Nel mondo virtuale disprezzo, derisione e ostilità verso gruppi rispecchiano piaghe diffuse nella società come razzismo, sessismo e omofobia. L’utilizzo di epiteti come “negro” o “frocio”, indirizzati verso un individuo, altro non sono che dimostrazioni di intolleranza e disprezzo di gruppi e di chi viene considerato diverso. E lasciano traccia indelebile in vetrine sotto lo sguardo di tutti.

I più colpiti dagli haters sono famosi giocatore di colore, non solo calciatori ma anche campioni di altri sport, come di recente avvenuto ai danni della stella della nazionale di pallavolo Paola Egonu, portabandiera della rappresentativa azzurra alle Olimpiadi di Tokyo 2020, che nell’ottobre scorso ha subito insulti razzisti dopo la sconfitta dell’Italvolley nella semifinale dei mondiali.

Ma nel mirino dei “leoni da testiera”, nascosti dietro gli schermi, non sono soltanto i campioni, personaggi sotto i riflettori, ma anche persone comuni. L’hate speech si può concretizzare in messaggi sessisti e omofobici, diffamazione, revenge porn, e può trasformarsi in cyberbullismo, se continuato nel tempo e ai danni di soggetti individuati, con conseguenze talvolta drammatiche.

Con il progetto 4 Assist, grazie all’aiuto delle società sportive, intendiamo sensibilizzare le famiglie e contribuire all’educazione dei ragazzi sulla necessità di evitare linguaggi e comportamenti offensivi, sulla rete web e non solo.

Per approfondire:

  • Odiare non è uno sport, progetto di prevenzione e contrasto all’hate speech finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
  • Claudia Bianchi, Hate Speech, il lato oscuro del linguaggio, editori La Terza, 2021

Per collaborare con noi in progetti, scrivici

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